Si parla ormai spesso di “Punto Unico di Accesso”, di presa in carico totale, di una sanità regionale che metta “al centro i bisogni dei cittadini”. Sulla carta è tutto desiderabile, ma nella vita reale cosa succede? Abbiamo scelto alcune segnalazioni tra le ultime pervenute dai cittadini del territorio orvietano, istantanee che valgono più di mille comunicati stampa le cui cause ci ripromettiamo di approfondire in successive comunicazioni.
– Turismo sanitario a Foligno
Nonostante le ispezioni regionali ed i servizi di controllo qualità intervenuti su casi precedentemente segnalati alla dirigenza, nulla sembra essere cambiato.
Un cittadino ci segnala l’ennesima prescrizione che lo indirizza obbligatoriamente a Foligno. Il sistema non si chiede se il paziente, magari anziano, guidi o meno. Non si chiede se ha figli che possono prendere ferie per accompagnarlo. L’alternativa è secca: o si va a Foligno o si va dai privati. Secondo voi, per disperazione o impossibilità logistica, in quanti scelgono la seconda opzione?
– L.E.A.: la beffa del calendario (e il sollievo dell’operatore)
A maggio 2025 prenotazione di un esame di routine; appuntamento fissato dal CUP per il 23 dicembre (ben 7 mesi dopo).
15 Dicembre 2025, arriva una telefonata: il 23 dicembre il medico è in ferie. Visita annullata. La soluzione proposta? “Si potrebbe fare subito”, peccato però che la persona avvisata all’ultimo minuto si trovi in un’altra città, distante alcune ore. Risultato: visita saltata e cittadino che si rivolge al privato.
C’è un retropensiero amaro in questa vicenda: la sensazione è che l’interlocutore pubblico fosse quasi sollevato. Un paziente che va dal privato è un numero in meno nelle statistiche delle liste d’attesa “fuori tempo massimo”. Il problema è risolto per la statistica, ma non per il malato.
– Centro prelievi: come siamo messi?
In alcuni casi il Pubblico ha perso anche la sua funzione di “calmiere” sociale ed economico.
Esame emocromo:
A Roma (Privato): Costo 4 euro.
A Orvieto (Ospedale Pubblico): Costo ticket 6,95 euro.
Giorno 23 dicembre 2025, Ospedale di Orvieto: tutti sanno che l’ora indicata sulla prenotazione non serve a nulla e gli utenti arrivano tutti insieme per prendere il numeretto cartaceo; 40 persone in attesa, tempo medio di permanenza circa un’ora e dieci, personale stressato (circa 100 prelievi con due operatori che fanno da tampone ai malumori inevitabili), utenti che debbono semplicemente consegnare e che sono costretti anche loro a fare la fila con il numeretto.
Non riusciamo a capire come sia organizzato da noi il Centro prelievi, ma di sicuro andrebbe sistemato anche per far lavorare con tranquillità le brave persone che ci sono
I responsabili sanno cosa sta succedendo? Sono mai andati a vedere altre situazioni informatizzate dove tutto è scorrevole ed in 15 minuti tutto si risolve? Perché non vanno a vedere dove le cose funzionano e copiano? Che senso ha mettere due centri prelievi a distanza di 5 minuti?
– Presa in carico del paziente
Paziente afflitto da seri problemi di salute, ma nessuno lo guida per cercare la soluzione. Si deve organizzare da solo con migrazioni da specialisti pubblici (intramoenia) e privati per individuare dopo svariati mesi il problema.
Costo complessivo più di 5000 euro, con tempi lunghi di sofferenze, spostamenti in luoghi lontani nella regione costretto ad essere accompagnato e soltanto ora – dopo mesi – può curarsi.
Queste storie, pur diverse tra loro, rivelano due criticità strutturali che la politica locale continua a ignorare. Si continua, infatti, a indirizzare i pazienti verso Foligno, ignorando che per chi non ha mezzi propri quella destinazione è irraggiungibile. Nel frattempo, Terni, che dovrebbe essere il nostro DEA di secondo livello di riferimento e sbocco naturale per cure ed esami più complessi, non è preso in considerazione. Una vera e propria follia logistica che penalizza le fasce più deboli.
I dati parlano chiaro: non è un caso se il mercato della sanità privata nell’orvietano sia in piena espansione. Mentre noi aspettiamo i piani della Regione, i privati stanno investendo cifre importanti (parliamo di importi simili a quelli stanziati per costruire la nuova Casa di Comunità) per potenziare le loro strutture (vedi Cidat). Non è beneficenza, è mercato: se investono milioni è perché la domanda c’è. E la domanda c’è perché il pubblico ha lasciato una voragine, diventando sconveniente nei tempi e in alcuni casi anche nei costi.



