Parliamo dell’Ospedale di Orvieto: tutti gli eventi che si sono susseguiti negli ultimi vent’anni lo hanno portato in terapia intensiva, e ormai sembra che si stia solo aspettando la certificazione ufficiale della sua morte. Il disagio è palpabile e tra il personale è scattato il “si salvi chi può”.
Il dottor Mazza lascia il reparto di Cardiologia, mentre arrivano notizie allarmanti su altre defezioni, sempre in Cardiologia e in Chirurgia. Per eseguire ecografie e risonanze magnetiche è necessario il supporto di professionisti provenienti da Perugia, Foligno e Terni; il laboratorio analisi è sottodimensionato; i nuovi posti di terapia intensiva non sono mai arrivati; e anche al Pronto Soccorso la situazione resta tutt’altro che rosea. Le assunzioni a tempo determinato bandite si sono rivelate, come prevedibile, del tutto inefficaci.
Reparti mancanti, quelli esistenti sottodimensionati, primari fantasma, apparecchiature diagnostiche di ultima generazione mai fornite, turni coperti da personale proveniente da altri territori, progetti PNRR cancellati: tutto ciò è stato mortale. Intanto, gli avvoltoi si aggirano, pregustando un banchetto sempre più vicino.
È ormai di dominio pubblico la notizia dell’arrivo, sul nostro territorio, di una grande struttura sanitaria privata dotata di apparecchiature all’avanguardia e orientata verso servizi di alta complessità e maggior valore aggiunto. È facile prevedere che altri professionisti abbandoneranno la sanità pubblica e, con essa, il nostro ospedale.
Una rete ospedaliera irrazionale nella USL Umbria 2 ha prodotto i suoi effetti: la scelta di costruire due ospedali a pochi minuti di distanza, a Narni ed a Terni, risponde più a logiche di potere politico locale che a reali esigenze di servizio.
Nel frattempo, la Fondazione GIMBE ci informa che, nel territorio regionale, abbiamo un rapporto medici e infermieri/cittadini più alto della media nazionale, ma al tempo stesso uno dei più alti livelli di abbandono delle cure in Italia.
Forse, l’ospedale di Orvieto volevano davvero ucciderlo: vogliono forse costringerci a curarci altrove, in luoghi come Foligno, irraggiungibile con i mezzi pubblici e con una viabilità precaria?
Chiediamo ai responsabili di venire a raccontarci cosa intendono fare — e cosa possono fare — prima che tutto crolli definitivamente, e i nostri concittadini si trovino costretti a pagare di tasca propria o a rischiare una probabilità di morte più alta.